Il Palazzo Lateranense
Il Palazzo Apostolico Lateranense è annesso alla basilica, appoggiato alla navata destra, a fianco della Loggia delle Benedizioni. La costruzione risale al pontificato di Sisto V (1585-90), che fece abbattere il Patriarchìo ed edificare il palazzo attuale da Domenico Fontana; si salvò solo San Lorenzo in Palatio, inserito nel complesso della Scala Santa. Fu concepito allora come sede estiva dei pontefici in luogo del Palazzo del Quirinale, che era ancora di modeste dimensioni; ma Sisto V ne fece il suo “quartier generale” per il rinnovamento edilizio della città. Le sue stanze furono affrescate da numerosi manieristi come Baldassarre Croce e Ventura Salimbeni.
Successivamente il palazzo non ebbe una destinazione ben precisa. I locali del primo piano furono sempre utilizzati in funzione della “presa di possesso” del Laterano da parte del neoeletto pontefice e, come tali, destinati ad appartamento papale, ma il papa non vi abitò mai. Quelli del piano terra e del secondo piano furono adibiti ai più disparati servizi. Paolo V Borghese ne fece la residenza dei canonici della basilica lateranense; Urbano VIII Barberini lo adibì a quartiere militare con riserve di vettovaglie e ospedale; Innocenzo XII lo trasformò in ospizio per le orfane, con un laboratorio per la lavorazione della seta; Pio VII vi insediò l’archivio dello Stato Pontificio. Infine arrivò la destinazione museale: Gregorio XVI vi ospitò le nuove raccolte di arte sacra e Pio IX vi fece sistemare il museo missionario-etnologico, successivamente trasferito in Vaticano. Il restauro a metà del Novecento lo qualificò come sede del Vicariato di Roma. Famosa è la Sala della Conciliazione, con soffitto ligneo del 1589, nella quale furono firmati i Patti Lateranensi tra la Santa Sede e lo Stato Italiano l’11 febbraio 1929: vi è una caratteristica decorazione con riproduzione di colonne e nicchie con le figure dei papi e per questo è anche detta la “Sala dei Papi”.
(da C.Rendina, La grande guida dei Monumenti di Roma, Newton Compton Editori, vol. I, p. 366)