La metamorfosi di Roma
Roma non è un’unica città, ma è composta da molteplici città sovrapposte, dalla archeologica alla cristiano-medievale, dalla pontificia e rinascimentale alla scenografica della trionfante Chiesa controriformista e alla Capitale d’Italia. Nella quale, sventramenti di regime a parte, ogni volta che è avvenuto un cambiamento, poco si è cancellato del precedente, in un susseguirsi di strutture, secondo un processo architettonico senza soluzione di continuità, che l’ha vista passare indifferentemente da pagana a cristiana, da Urbe imperiale a borgo medievale, da civitas leonina a città comunale, da capolavoro barocco a metropoli del futuro. Come un animale nella sua metamorfosi.
La metamorfosi ha cancellato l’antico foro, degradando i suoi monumenti ad un umile “campo vaccino”, per poi farlo rinascere dalle ceneri, a simboleggiare la resurrezione nell’antica Urbs e dei suoi Mirabilia. Ha cambiato la finalità dei templi pagani consacrandoli al Cristianesimo. Ha ammucchiato torri a ridosso di palazzi, mura e ponti, abbattendole poi nell’evoluzione edilizia che ha elevato chiese, aperto strade, recuperato obelischi estratti dal sottosuolo, in una riconquista del Bello classico al centro delle moderne piazze. Si è ingegnata nella costruzione delle fontane come terminali degli antichi e nuovi acquedotti, tra mostre e ninfei, con finalità ornamentali ma anche pratiche, fino alle pubbliche fontanelle. Ha follemente demolito e ricostruito palazzi a immagine e somiglianza, senza alcun criterio, per creare spazi alternativi alla dimensione della città, nell’immagine di sé proiettata al terzo millennio con le “meraviglie” del XX secolo, dall’Altare della Patria alla via della Conciliazione. Tutto più o meno affidandosi all’improvvisazione, contando sulla innata bellezza, senza una pianificazione urbanistica scientificamente impostata.
Una metamorfosi è dettata dall’istinto naturale, da sempre. “Qui innumerevoli generazioni hanno creato e costruito una accanto all’altra, una sopra l’altra, senza preoccuparsi di ciò che preesisteva, senza neanche comprenderlo, badando solo alle esigenze della sua epoca, al suo gusto, alla sua moda“, scriveva nel 1898 il filosofo tedesco George Simmel, grande ammiratore di Roma. Eppure il fascino di Roma nasce proprio da questo ampio e tuttavia conciliato distacco tra la casualità dei particolari e il significato artistico del tutto, perché “le differenze di tempo, stile, personalità ed esperienze vissute sono giunte ad una unità, una affinità maggiore che in qualsiasi altro luogo”.
Ad assicurare a Roma questa forma armonica di eternità, pur nei singoli contrastanti elementi, è la sua costante immagine di sacro e profano, inscindibile, che fin dalla nascita la qualifica, trasmessa attraverso le sue meraviglie, mitici idoli del paganesimo e pure Sante Reliquie del Cristianesimo, alla stessa vita quotidiana, ad un tempo sublime e caotica, perché fatta di ambiguità diaboliche e angeliche. E il “sacroprofano”, appunto, ci può essere di guida nei molteplici itinerari di questa splendida città, al di là del tempo in cui certi ambienti si sono realizzati, in una visione complessiva di Roma che è ancora oggi fuori della storia, e veramente “eterna”.