Gli scavi ottocenteschi della Necropoli dell'Esquilino
La necropoli dell’Esquilino rappresenta la principale area di sepoltura degli abitanti della Roma più antica dalla Fase Laziale IIB, ossia a partire dalla prima metà del IX secolo a.C., fino all’età repubblicana. Numerosissimi sono gli studi che hanno indagato il suo sviluppo topografico nel corso del tempo. La ricostruzione di tali aspetti è legata alle vicende di questo settore della città nel periodo post-unitario, quando l’impetuoso sviluppo edilizio per la creazione del nuovo quartiere modificò in modo irreversibile la morfologia dell’area, con lo sbancamento di alcune aree a maggiore altimetria, in particolare l’estremità settentrionale di Piazza Vittorio dove ne resta traccia la quota, più alto rispetto alla piazza, della chiesa di Sant’Eusebio, e una complessiva regolarizzazione delle superfici.
I resoconti e i diari di scavo dell’epoca indicano gli ultimi mesi del 1872 come l’inizio dei rinvenimenti nel settore a ridosso della Stazione Termini, quando anche il Nardoni iniziò le raccolte di materiali a Castro Pretorio e diede notizia dei primi recuperi. Le informazioni relative alle scoperte effettuate a cura della Commissione sono date nei registri dei Trovamenti e nei volumi del Bullettino della Commissione Archeologica Comunale, con riferimento alle zone e agli isolati nei quali era progettato il quartiere. Al 1874 risalgono i resoconti di Rodolfo Lanciani sulle scoperte effettuate nella Zona I, tra le quali una tomba a camera, con materiali di età repubblicana, insieme alla notizia della presenza di altri sepolcri e di moltissimo vasellame definito “di tipo etrusco”.
Nel stesso anno il De Rossi annotava, a commento dei materiali raccolti dal Nardoni, come l’attività di questo appassionato avesse salvato molti oggetti che altrimenti sarebbero andati dispersi. Al 1875 risalgono la scoperta della tomba nota come il “Gruppo 125” e le scarse e confuse notizie di altre sepolture nel settore orientale di via Principessa Margherita insieme alla pubblicazione di oggetti di bronzo e di ceramica provenienti dall’area della distrutta chiesa di San Giuliano, posta tra Sant’Eusebio e i c.d. Trofei di Mario.
Ancora a questi anni si datano le raccolte di Nardoni al Monte della Giustizia e a Villa Altieri e presumibilmente quelle presso Sant’Eusebio, Sant’Antonio e Via Magenta al Viminale. Queste sono solo alcune delle notizie che suggeriscono le condizioni di rinvenimento dei resti archeologici relativi alle fasi più antiche delle necropoli romane del settore nord-orientale nella prima fase delle scoperte post-unitarie. Le aree interessate dall’espansione della città, nel settore nord-orientale, infatti, non si limitarono all’Esquilino ma coinvolsero altre zone destinate ad uso sepolcrale già in epoca preromana: il Viminale, con l’area del Castro Pretorio e di via Magenta, e il Quirinale lungo l’asse di via XX Settembre. All’Esquilino, area per la quale abbiamo informazioni più numerose rispetto alle altre necropoli, la regolarizzazione delle superfici andò in alcune aree a intaccare i riporti di terreno che erano stati accumulati per realizzare l’altro grande intervento che in precedenza aveva completamente cambiato il volto del luogo nella prima età imperiale, quando l’area era stata trasformata per accogliere gli “horti” voluti da Ottaviano Augusto. L’eco di questi antichi sconvolgimenti, che interessarono i livelli dell’Età del Ferro e Orientalizzante / Arcaica con conseguente dispersione e frammentazione dei materiali, è testimoniata da notizie, nei rapporti e nei resoconti degli ispettori e degli studiosi di fine Ottocento, di molti oggetti frammentari rinvenuti fuori contesto in strati già sconvolti in antico.