I combattimenti gladiatorii nell'Anfiteatro Flavio
Vi erano molte manches di duelli che si svolgevano contemporaneamente. In alcuni casi, impiegando centinaia di combattenti, si rievocavano battaglie fra Romani e Galli o addirittura, allagando l’arena, celebri battaglie navali del passato. Nella sistemazione definitiva del Colosseo, questo non sarebbe stato più possibile, perché sotto l’arena furono ricavati numerosi grandi ambienti di servizio, dove l’acqua non avrebbe certo potuto raccogliersi come prima.
Le armaturae, o classi di gladiatori, erano ben individuabili per armamento e tecniche di combattimento. Il Trace con il cimiero a forma di grifone e la corta spada dalla lama ricurva (sica), il Mirmillone con il grande scudo semicilindrico, il Reziario che cercava di avviluppare l’avversario nella rete (ed era armato inoltre di tridente e coltello), il Secutor, avversario del Reziario, che combatteva con l’elmo senza cimiero per non lasciare facili appigli alla rete, e così via.
I compensi dei gladiatori erano di entità variabile: per esempio secondo un tariffario emesso da Commodo (180-192 d.C.), un imperatore amante dei giochi (pare che egli stesso combattesse incontri combinati, mascherato da Ercole), i gregari di basso livello erano ingaggiati per 1000 o 2000 sesterzi, i migliori per un massimo di 15.000 sesterzi.
Non si deve pensare che il gladiatore rischiasse continuamente di morire. Ogni combattente affrontava i munera non più di due o tre volte all’anno e talvolta, anche in caso di sconfitta, poteva essere risparmiato (missus). Quando uno dei due combattenti si arrendeva, era infatti l’editor, il magistrato che aveva indetto il munus, che poteva essere anche influenzato dalle grida della folla, a decidere se doveva essere iugulatus (sgozzato) oppure no, e la scelta poteva anche essere quella di risparmiare la vita.
Ovviamente i rischi restavano alti. Talvolta venivano indetti munera sine missione, cioè senza salvezza: lo sconfitto andava comunque ucciso e soprattutto la morte potevo arrivare durante il combattimento, prima di giungere alla sentenza finale. Non solo il momento del combattimento, ma l’intera giornata dei munera provocava la massima tensione. Nell’attesa di entrare in scena infatti, i gladiatori aspettavano il loro turno nei sotterranei. Si è detto dell’ampio apparato di corridoi, ambienti, alloggiamenti per scale e montacarichi che nella fase di costruzione domizianea (81-96 d.C.) furono ricavati sotto l’arena del Colosseo.
Oggi li vediamo scoperti, ma in antico erano coperti da un tavolato su cui si gettava sabbia (da cui il nome “arena”) che costituiva il terreno dei giochi. Immaginiamo i gladiatori in attesa là sotto: non solo avevano, presumibilmente, problemi di temperatura e di mancanza d’aria, ma tra urla, tonfi e altri rumori terribili, si vedevano cadere dall’alto la sabbia e il sangue delle numerose uccisioni che penetravano dagli interstizi. Una situazione psicologicamente insopportabile.
Fra le aree ora visitabili, ve ne è una particolarmente significativa per capire la dura condizione del gladiatore: la porta Libitinaria (dal nome di Venere Libitina, la dea romana preposta alle onoranze funebri), attraverso cui i cadaveri dei combattenti venivano portati fuori dall’arena, non senza essere stati prima trafitti al collo con un ferro rovente, per verificare che nessuno fingesse di essere morto!
Non tutte le parti del Colosseo che si sono aggiunte di recente ai percorsi tradizionali sono riferibili a situazioni così cupe. Anzi, a quota 33 m si può entrare nel settore superstite del terzo ordine delle gradinate, che fu fatto costruire da Domiziano: sia all’interno che all’esterno la visuale è davvero splendida, così come doveva esserlo per gli spettatori antichi. Qui erano radunate soprattutto le donne, perché proprio a loro erano assegnate, fin dai tempi di Tito, le file di posti più in alto.
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