Roma Bella

Visite guidate a Roma e nel Lazio

Le manifestazioni nell’anfiteatro flavio non avevano cadenze regolari come ad esempio le giornate di un campionato di calcio. Quando si svolgevano, però, potevano durare anche tre o quattro giorni di fila o, in qualche caso, molto di più: nell’inaugurazione dell’anfiteatro voluta da Tito, nell’80 d.C., lo spettacolo durò 100 giorni. Quando Traiano celebrò il trionfo sui Daci nel 107 d.C., la durata fu addirittura di 120 giorni, con l’impiego di 10.000 gladiatori e 11.000 belve.

A parte i casi limite, i munera (così erano chiamati gli spettacoli gladiatorii) avevano una configurazione standard: in questo caso, si parlava di munus iuxtum atque legitimum (spettacolo giusto e legittimo). Il programma degli spettacoli veniva annunciato e pubblicizzato con affissioni murali, in modo che tra i cittadini si creasse la giusta attesa per l’evento.

La giornata si avviava con una pompa (processione): l’editor (il magistrato che sponsorizzava i giochi, che nell’Urbe era spesso l’imperatore in persona), sfilava al suono di trombe, corni e organi, insieme con venatores (cacciatori), condannati a morte, gladiatori, primae rudes e secundae rudes (arbitri di prima e seconda categoria), nonché altri addetti di vario tipo. La musica accompagnava poi tutta la manifestazione, che prevedeva al mattino le venationes (cacce, o lotte fra cacciatori e belve), per l’ora di pranzo l’esecuzione dei condannati a morte (che diveniva così una forma per noi un po’ sconcertante di spettacolo), finalmente il pomeriggio i veri e propri combattimenti.

Vediamo meglio queste fasi. Le venationes avevano remoti antecedenti già in epoca repubblicana. Il primo caso si può far risalire a 252 a.C., quando furono mostrati nel Circo Massimo i “buoi lucani”, cioè gli elefanti sottratti ai Cartaginesi, animali fino ad allora sconosciuti ai romani. Non si sa però se nell’occasione furono solo concessi alla curiosità del pubblico o affrontati da venatores. In seguito leoni, tigri, iene, struzzi, rinoceronti, ippopotami, coccodrilli, oltre agli stessi elefanti, furono impiegati sempre più spesso: fra l’altro con costi altissimi, perché per un leone si arrivava a spendere fra 125.000 e 150.000 sesterzi, per un leopardo fra 75.000 e 100.000, per un orso fra 20.000 e 25.000 sesterzi (si pensi che la spesa quotidiana di una famiglia di tre persone si aggirava sui 6 sesterzi). Questi prezzi erano giustificati dalle tante operazioni necessarie: dalla cattura, al trasporto, alla sistemazione e gestione degli animali in attesa dello spettacolo.

Le lotte fra uomini e belve e si svolgevano spesso sullo sfondo di scenari costruiti artificialmente: alberi, rocce e altri elementi di paesaggio venivano immessi nell’arena facendoli salire degli ambienti di servizio sotterranei. Sia gli animali che gli elementi scenografici erano presenti anche al momento dell’esecuzione dei condannati a morte. Infatti fra le condanne previste dai tribunali romani c’erano anche quelle ad bestias, cioè a morire sbranati delle belve, o ad gladium, ossia affrontare senza speranza (disarmati) dei gladiatori professionisti. Questo spettacolo veniva offerto all’ora di pranzo; era già atroce di per sé, ma spesso l’uccisione veniva trasformata in un’azione scenica che echeggiava un episodio della storia o del mito. Dopo pranzo era la volta dei combattimenti fra gladiatori.

 

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