Il Tempio della Speranza Vecchia
Sesto Giulio Frontino chiama la zona tra l’attuale piazzale Labicano e via Castrense “ad spem veterem“, che letteralmente significa “presso la speranza vecchia”. Si tratta della dea Spes, alla quale era dedicato un antichissimo tempio. Tito Livio infatti riferisce che esisteva un antico santuario dedicato alla dea stessa detto “vecchio” da non confondere con quello costruito nel Foro Olitorio all’epoca della prima guerra punica, dal console Aulo Atilio Calatino, i cui resti sono ancora oggi visibili perché inglobati nella basilica di San Nicola in Carcere. Il santuario più antico viene ricordato in occasione della vittoria del console Orazio contro gli Etruschi di Veio nel 477 a.C. Gaio Orazio Pulvillo non fa in tempo a godersi l’elezione a console per volere del Senato che già viene incaricato di gestire una guerra: si tratta di contrastare il bellicoso popolo dei Volsci che si è spinto già da tempo in quella che oggi è la pianura pontina, approfittando della crisi del passaggio tra monarchia e repubblica a Roma. È costretto però a rientrare velocemente perché i Veienti, altro popolo da sconfiggere, hanno la meglio sull’esercito del console Quinto Fabio Vibulano che si salva per miracolo, e si sono accampati al Gianicolo. Sono davvero troppo vicini e qualsiasi altro conflitto può attendere.
Per essere precisi, il console Orazio affronta due battaglie, una al tempio della Speranza e una seconda a Porta Collina delle mura serviane (una porta situata tra le attuali via Goito e via XX Settembre, ancora visibile fino alla sua distruzione avvenuta nel 1872). Vince solo in quest’ultima occasione. È quindi molto probabile che il tempio della Speranza poi detta “vecchia” venga solo restaurato dal console Orazio come voto, ma già esistesse. Non avrebbe avuto il tempo di costruirlo da zero, tra l’elezione a console e la battaglia contro gli Etruschi di Veio. Il tempio viene successivamente ricostruito dall’imperatore Augusto che, tra le altre divinità, esalta anche il culto della dea Spes. Molto prima che il concetto di speranza venisse tradotto in termini cristiani nel concetto di attesa della salvezza divina, e quindi diventasse una virtù teologale, la Speranza o meglio Elpìs, è la dea greca rimasta nel vaso di Pandora dopo che erano fuoriusciti tutti i mali. All’umanità, ormai destinata a patire ogni sofferenza, resta solo la speranza nella sua accezione ambivalente di consolazione / illusione. Nel mondo romano la dea ha una connotazione totalmente positiva, tanto che si ritrova sul verso di un sesterzio dell’imperatore Claudio, rappresentata come una fanciulla che tiene con una mano un bocciolo e con l’altra si solleva appena la veste per facilitare il passo. Di questo antico tempio non sono giunte testimonianze materiali e il toponimo si perde molto probabilmente già in età altomedievale, quindi prima dell’anno Mille, anche a causa della drastica contrazione dell’abitato di Roma che porta all’oblìo di molti dei riferimenti spaziali precedentemente in uso.
Da: LA STORIA DEL PIGNETO, a cura di Gaia Marnetto, Typimedia Editore, pp. 33-35.