Trasportare l'acqua: acquedotti di alto livello a Roma
L’acquedotto è un prodotto dell’ingegneria che si sviluppa in modo preponderante in ambito romano, anche se questo non significa che, ad esempio, Greci ed Etruschi non si fossero cimentati in notevoli soluzioni idrauliche. “L’acqua giungeva a Roma su una successione di archi di trionfo“ dice solennemente J.W.Goethe nel suo “Viaggio in Italia”, e non si tratta di un complimento di un illustre turista del Settecento: il trasporto dell’acqua in città ha per i Romani un significato anche estetico, sebbene in numerosi casi gli acquedotti siano canalizzati sotto il suolo. In presenza di avvallamenti del terreno, la successione di arcate (arcuazioni è il termine tecnico) sono l’unico modo per mantenere il flusso ad una quota funzionale per conservare una specifica pendenza.
Pietrantonio Pace, nel suo volume “Gli acquedotti di Roma”, spiega il motivo per cui il 75% della potenzialità idrica di Roma arriva da est, dai monti Simbruini. La particolare natura di queste alture li rende una spugna naturale in occasione delle piogge primaverili e autunnali e dello scioglimento delle nevi. Il fiume Aniene per esempio, nasce proprio in questa zona. Ma il rovescio della medaglia sta nella elevata durezza di queste acque: le operazioni di disincrostazione del calcare negli acquedotti sono piuttosto onerose e vengono pianificate con sistematicità. Nel 96 d.C. Sesto Giulio Frontino è il Curator Aquarum di Nerva, ha perciò il compito di gestire il sistema degli acquedotti di Roma e tutto quello che riguarda l’approvvigionamento idrico in città, inclusa l’acqua per spegnere gli incendi.
Esponente della oligarchia senatoria, è l’uomo giusto per occuparsi della cosa pubblica. Di grande precisione ed etica del lavoro, Plinio il Giovane ha l’onore di conoscerlo e riferisce in una delle sue lettere indirizzate all’imperatore Traiano, come Frontino avesse messo per iscritto di non voler monumenti dopo la sua morte, una spesa inutile: sono i meriti che rendono memorabili gli uomini agli occhi dei posteri. Forte della sua missione, scrive un testo, il De Aquis Urbis Romae, che conosciamo grazie a Poggio Bracciolini. L’umanista nel 1425 ne trova una copia nella biblioteca del Monastero di Montecassino. È concepita come un manuale di istruzioni a beneficio dei suoi successori ma, anche molti secoli dopo, costituisce un documento preziosissimo per capire alcuni dettagli che altrimenti si sarebbero persi per sempre. I ben 11 acquedotti realizzati a Roma servono pochissime case private, oltre 1000 fontane pubbliche, ma anche piscine e, nemmeno a dirlo, le terme. Otto di questi acquedotti giungono nel quadrante orientale di Roma sia perché le sorgenti sono per lo più a Est, sia per una ragione tecnica: è tra i punti più alti di Roma e quindi risponde bene ai requisiti di trasporto. Nella località detta “alla speranza vecchia”, presso l’attuale Porta Maggiore, convergono dunque diversi acquedotti: l’acqua Marcia, l’acqua Tepula, l’acqua Iulia, l’acqua Claudia e L’Anio Novus, all’epoca del quale si realizza quell’Arco di Claudio poi detto Porta Prenestina-Labicana ed infine Porta Maggiore.
Da: LA STORIA DEL PIGNETO, a cura di Gaia Marnetto, Typimedia Editore, pp. 29-30.