Le corse dei carri nel Circo Massimo
La Valle Murcia, compresa tra i colli Palatino ed Aventino, fu fin dall’età protostorica sede di antichi culti e successivamente divenne lo spazio privilegiato per eventi di vario tipo: le processioni religiose, la pompa trionfale dei generali vittoriosi, i ludi circenses. Le corse dei carri erano lo spettacolo più appassionante per i romani. La loro origine si fa risalire alle feste religiose che prevedevano durante lo svolgimento anche corse di cavalli. Nel tempo questi ludi si trasformarono in spettacoli che si svolgevano in strutture stabili ad essi interamente dedicate.
Lo spettacolo delle corse iniziava con il corteo aperto da littori e trombettieri, e seguito dal magistrato e da una processione in cui erano presenti anche i sacerdoti, che scortavano le immagini delle divinità trasportate su portantine o su carri trainati da cavalli. Il corteo percorreva la pista girando intorno alla spina e terminando davanti al palco dell’imperatore, il pulvinar. I carri erano leggere strutture in legno a due ruote trainati da cavalli e guidati da un auriga: dovevano percorrere in senso antiorario sette giri di pista intorno alle metae, basi semicircolari poste all’estremità della spina. Su questa si trovavano le sette uova sacre ai Dioscuri e i sette delfini sacri a Nettuno, che segnalavano al pubblico il numero dei giri compiuti dai carri.
La difficoltà nella corsa consisteva nel momento in cui si girava intorno alla meta, correndo a forte velocità, con il rischio che i carri si capovolgessero, provocando incidenti spesso mortali. Per questo il cavallo di sinistra, chiamato funalis, era di solito il migliore. Le squadre (factiones) erano quattro, distinte da diversi colori: bianco, rosso, verde, azzurro. Gli aurighi avevano la testa coperta da un caschetto e indossavano corte tuniche del colore della propria squadra, strette in vita da cinghie. Tenevano le redini avvolte intorno al petto, con una mano stringevano le briglie e con l’altra la frusta. Portavano sempre con sé un pugnale con cui tagliare le redini in caso di incidente. L’auriga vincitore riceveva, oltre a corone e palme, anche cospicui premi in denaro e diveniva un vero e proprio beniamino delle folle, similmente ai moderni campioni dello sport.
I veri protagonisti delle gare però erano i cavalli, la coda tenuta alta da uno stretto nodo e con i finimenti decorati in modo prezioso con borchie scintillanti, acclamati e famosi al punto tale che i loro nomi venivano trascritti sui mosaici, sulla pietra, sui muri, sulle porte, nelle coppe, sui bordi delle lucerne e sulle lamine di bronzo. Le gare si susseguivano numerose durante la giornata ed erano anche accompagnate da giri di scommesse.