il "pincetto" di Piazza Benedetto Brin alla Garbatella
Nel triangolo più antico della Garbatella, tra via Guglielmotti e Piazza Benedetto Brin, con i gazometri all’orizzonte sembra di stare sospesi per aria, sui vecchi opifici dell’Ostiense, ma anche nel tempo. La fontana di pietra, scovata quasi cento anni fa dal fondatore nei magazzini municipali, è ancora lì e zampilla come nel giorno in cui venne il Re “Pippetto” a posare la prima pietra di quella Borgata Giardino, che volle chiamare Concordia. Quest’angolo è conosciuto di più come il Pincetto, con la sua scalinata, che discende verso la Terza Università, su un brulicare feriale di giovani studenti e il traffico caotico dell’antica consolare in direzione del centro. L’itinerario di visita non può che muovere da qui, da questo poggio di pace e di tranquillità invidiato da tutti. La piazzetta, fino agli anni Venti, era un luogo di incontro dei pionieri della borgata, che dopo il lavoro tiravano sera sotto l’ombra dei pini marittimi tra le chiacchiere e un bicchiere di vino alla mescita della Cooperativa.
Oggi non è più così, è quasi sempre deserta. Talvolta si incontrano frotte di turisti che vengono a visitare la Garbatella e qualche curioso che guarda all’insù. Solo d’estate la piazza sembra tornare ai vecchi fasti, quando al tramonto coppiette e comitive di pischelli affollano il giardino intitolato a Maurizio Arena, che qui era di casa, dove si alternano per tutta la stagione le pellicole d’autore del cinema all’aperto. Anche lo spaccio della Cooperativa ebbe vita breve. I soci, in odore di socialismo e sol dell’avvenire, furono presi a randellate dai fascisti della prima ora appena dopo la marcia su Roma del ‘22 e quindi al suo posto, si aprì una salsamenteria gestita da privati, ormai chiusa da tanti anni. L’unica porta rimasta aperta di piazza Brin è la famosa trattoria romana “da Moschino”, dove da quarant’anni si possono assaggiare le autentiche polpette di bollito, quelle che faceva nonna, ma anche i rigatoni alla gricia, trippa, involtini e coniglio alla cacciatora con i carciofi. E quel senso di comunità dove è finito? Ci ha pensato un gruppo di donne del quartiere, quelle degli “orti Guglielmotti”, che in uno spazio di risulta, dove anticamente esisteva il palazzetto del lotto 2, hanno deciso di ripulire tutto e ricavare una decina di orti familiari in cui coltivare in estate e inverno pomodori e broccoletti. Lo fanno con il piacere di stare insieme e con tanto sacrificio. In attesa che l’ACEA disponga un allaccio dell’acqua, confidano nelle piogge abbondanti. Questi agricoltori urbani hanno ripreso l’antica tradizione degli abitanti dei primi cinque lotti, quella di coltivare l’orto familiare che era annesso al villino economico. Come volevano i socialisti utopisti alla Owen, quelli che non credevano nella lotta di classe, ma si accontentavano di vivere in serenità, lontano dalle fumose città industriali della vecchia Europa.
G.Rivolta, GARBATELLA TRA STORIA E LEGGENDA, Iacobelli editore, p. 153.