Roma Bella

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L’occupazione di un territorio al momento della costituzione di una nuova comunità rispondeva a esigenze e modalità analoghe in molti luoghi: da un tipo di insediamento ancora per singoli villaggi, le cui abitazioni erano sistemate intorno a luoghi riforniti di acqua e dove le aree per le sepolture non erano ancora separate da quelle abitative, si passa ad una chiara definizione dello spazio urbano, nel quale l’articolazione programmata per il nuovo insediamento doveva essere sentita come esigenza imprescindibile da parte di tutti i membri della nuova alleanza, sebbene la concreta realizzazione di una pianificazione complessiva richiedesse un tempo più lungo della vita di una o due generazioni.

Un periodo di tempo dilatato era una dimensione necessaria anche per elaborare e sviluppare gli elementi istituzionali e strutturali dell’organizzazione politica ed economica. A Roma la configurazione di un nuovo impianto urbano senza soluzione di continuità tra i vari agglomerati certamente non fu immediata. La trasformazione radicale dell’assetto civico che, accompagnandosi a una maggiore densità di abitazioni, potesse assumere un aspetto maggiormente monumentale mediante la definizione architettonica degli spazi pubblici, delle proprietà private, delle strade già tracciate in precedenza, richiese tempo. Tra le condizioni considerate necessarie per una nuova comunità urbana doveva avere una parte notevole la possibilità di possedere e controllare le vie di comunicazione, che all’epoca erano costituite prevalentemente dalle vie navigabili e da percorsi stradali alla sommità delle alture, più facilmente difendibili.

L’acquisizione della sovranità su un vasto territorio poggiava su poche caratteristiche essenziali: lo sbocco verso il mare e il controllo delle pianure costiere, l’accaparramento dei punti di transito dei fiumi o la loro distruzione laddove i corsi d’acqua costituivano linea di confine invalicabile della città, il controllo delle foci che, oltre a fungere da porti, anche quando la costa presentava bassi fondali sabbiosi, assicuravano la difesa quasi insuperabile alla più naturale via di penetrazione verso l’interno. A Roma è possibile intravedere una prima occupazione caratterizzata dalla presenza di più nuclei con abitazioni e sepolture dislocate in prossimità, ancorati ad un’economia di tipo agricolo-pastorale, a cui seguì prima una nuova alleanza in un momento decisivo di aggregazione e poi una lunga e complessa fase di definizione delle istituzioni che regolavano la nuova comunità e di costruzione delle strutture urbane vere e proprie.

Una vera città-stato, tuttavia, sarebbe inconcepibile senza un rapporto preordinato tra comunità e territorio. Per questo, una volta definito un primitivo stanziamento policentrico fondato su strategie comuni e organi decisori riconosciuti da tutti, i Romani cercarono di allargare rapidamente il proprio ambito di controllo, perseguendo, analogamente alla maggior parte delle città di nuova fondazione, un’espansione territoriale lungo le due consuete direttrici dell’entroterra e della costa. L’occupazione di Ostia è attribuita solitamente ad Anco Marzio, ma non mancano fonti letterarie che fanno risalire il primo insediamento a Numa Pompilio o addirittura a Romolo con l’occupazione delle Saline.

L’acquisizione di un territorio coltivabile sempre più vasto, però, non fu il solo interesse della nuova comunità latina, poiché essa fin dall’inizio si preoccupò di garantirsi il controllo delle vie di penetrazione, soprattutto quella fluviale, partendo dalla foce e risalendo verso l’interno o viceversa. Il Tevere, la cui presenza costituì uno dei fattori determinanti della crescita della città, definì inizialmente un confine del territorio di influenza della nuova comunità, consentendo conseguentemente di gestire in un ampio raggio geografico gli scambi commerciali. Ciò si deduce dalla presenza a Roma, oltre che a Veio, della più antica ceramica di importazione rinvenuta nel Lazio (euboica, cicladica, protocorinzia) e di altri manufatti greci, giunti attraverso il mare lungo le medesime rotte di navigazione che avevano già raggiunto la Campania.

In questo quadro si può ipotizzare che il primo sviluppo monumentale di Roma, che comporterà intorno alla metà del VII secolo la regolarizzazione dell’area del foro e dei margini delle strade che lo attraversavano o lo costeggiavano, fu la conseguenza dell’acquisizione di ingenti ricchezze tramite scambi con i territori interni e settentrionali avvenuti a partire dal periodo delle due generazioni immediatamente successive alla definizione nella seconda metà dell’VIII secolo di un’alleanza policentrica tra le popolazioni che occupavano i montes. Forse proprio le ricchezze acquisite da uno o più gruppi nelle comunità che occupavano le alture collinari intorno alla futura area forense determinarono quei fenomeni di instabilità che condussero alla necessità del distacco di una parte di essi (la leggenda della cacciata di Remo) e la ricerca di un luogo dove creare le condizioni per una redistribuzione delle ricchezze.

(Testo a cura di CLAUDIO PARISI PRESICCE)

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