Il Tempio di Portunus al Foro Boario
“Dio dei passaggi”, Portunus è il protettore di questa parte del Foro Boario, che chiudeva l’ansa del fiume Tevere, scelta come primitivo porto di Roma fin dalle epoche più antiche, luogo destinato per eccellenza ai transiti locali e stranieri. A questa divinità è dedicato il tempio rettangolare comunemente ed erroneamente noto come Tempio della Fortuna Virile, conservato in condizioni eccezionali in quanto trasformato nell’872 nella chiesa di Santa Maria de Gradellis, nel XV secolo Santa Maria Egiziaca, concessa da Papa Pio V agli Armeni, abbellita da Clemente XI insieme al vicino ospizio, quest’ultimo demolito nel 1930.
All’interno rimangono, di questa fase, resti di affreschi dell’epoca di Giovanni VIII. Dies Natalis del tempio era il 17 agosto, lo stesso del vicino tempio di Giano al foro olitorio, uno dei tre templi i cui resti si vedono ancora oggi sotto e ai lati della chiesa di San Nicola in Carcere, anch’esso dio dei passaggi e dei cambiamenti e quindi degli scambi anche commerciali. Il tempio di Portunus, divinità indigena identificata con il greco Melicerte o Palemone, è collocato di fronte, e sulla riva opposta del Portus Tiberinus, a quello di Mater Matuta, divinità locale identificata con Ino-Leucothea, sua madre, entrambe divinità che presiedono agli inizi della vita, delle attività, del tempo.
Se quindi i dati leggendari forniscono per la zona del Foro Boario indizi per una presenza precoce di questi culti, i dati archeologici per il luogo sacro a Portunus non vanno al di là della fine del IV - inizi III secolo a.C., periodo al quale appartiene la fase più antica dell’alto podio in blocchi di tufo di Grotta Oscura e lastre di travertino, cornice bassa e rivestimento in stucco. L’altezza del podio, oltre a rispondere ai canoni dei templi italici, si adegua anche alla necessità pratica di sollevare il tempio al di sopra della zona invasa spesso dell’acqua del fiume. Il tempio si collegava con la strada di accesso al Ponte Emilio mediante un ponticello, di cui sono stati visti i resti negli scavi del 1947: ma è evidente che si deve ipotizzare una fase più antica, almeno coeva a quella dei tempi arcaici di Fortuna e di Mater Matuta (metà VI secolo a.C.).
L’interro, realizzato nella prima metà del II secolo a.C. nel Foro Boario, sollevò la zona attorno al tempio, dando luogo ad una nuova sistemazione, con un probabile restauro dell’edificio nella prima metà del I secolo a.C.. Il tempio assunse allora l’aspetto che ha ancora oggi: pseudoperiptero, tetrastilo, con colonne e capitelli in stile ionico, basi e capitelli lavorati in travertino e rivestiti di stucco, nucleo in opera quadrata di tufo dell’Aniene, e rivestimenti del podio in travertino. Sui lati lunghi due colonne sono libere e le altre cinque sono inserite nel muro della cella a blocchi di tufo. La pianta è molto allungata a testimoniare il forte influsso ellenistico sull’architettura romana durante il II secolo a.C.. Intorno al tempio dovevano trovarsi delle tabernae. Il basamento è in opera cementizia rivestita all’esterno con lastre di travertino, scorniciate sopra e sotto e rinforzato all’interno con blocchi di tufo dell’Aniene. Le colonne del pronao e degli angoli della cella sono tutte in travertino con scanalature, mentre le semicolonne intermedie sono in tufo con basi e capitelli in travertino. L’architrave di travertino è tutto rivestito di fine intonaco a formare un fregio di festoni leggeri appesi fra candeliere; il cornicione era adorno di protomi leonine e il tetto doveva esibire antefisse fittili sulle falde e statue acroteriali. La gradinata di accesso al pronao è un rifacimento moderno.