La Basilica di Santa Maria in Cosmedin e la bocca della verità
Santa Maria in Cosmedin è in Piazza Bocca della Verità, all’angolo con via della Greca, nell’area dell’antico foro boario. La basilica è famosa per la “bocca della verità” posta nel portico, ma si tratta di un elemento profano subentrato nel XVII secolo in un contesto religioso di antichissima origine: fu fatta collocare infatti in quella posizione dal papa Urbano VIII Barberini nel 1632, utilizzando come basamento un capitello corinzio di epoca severiana certamente non pertinente.
La Chiesa risale ad una diaconia del VI secolo, insediata sull’Ara Maxima Herculis, l’altare dedicato ad Ercole dal re latino Evandro. Ampliata nell’VIII secolo da Papa Adriano I, la diaconia fu affidata ai monaci greci fuggiti a Roma dall’oriente, a seguito dell’iconoclastia: di qui l’appellativo dato alla chiesa, Cosmedin, parola greca indicativa delle splendide decorazioni e forse da collegarsi all’antico monastero di Bisanzio, il Kosmidìon. Peraltro la zona dove sorge la chiesa era chiamata “schola graeca”, fino alle falde dell’Aventino indicate come ripa graeca. Ristrutturata più volte, assunse un definitivo assetto romanico del XII secolo con il portico in laterizio e il campanile a sette piani di bifore e trifore, alto 34 m, e con una campana del 1289 ancora funzionante.
Nel 1719 la facciata fu ornata con stucchi e cornici secondo il tardo gusto barocco, ma nel 1899 venne riportata alle sobrie forme originarie. Nel muro della navata sinistra e nella sagrestia sono conservate in situ sette colonne marmoree corinzie appartenute alla facciata e ad un lato di un edificio ritenuto la sede dell’Annona, l’organismo pubblico che, prima dell’istituzione della Porticus Minucia Frumentaria in Campo Marzio, si occupava delle distribuzioni gratuite di grano e farina alla plebe urbana (frumentationes). Nella cripta sono visibili i blocchi in tufo di Fidene che costituivano il basamento della monumentale ara a cielo aperto dedicata ad Ercole. Nella sacrestia si trova anche il mosaico dell’Epifania, proveniente da una distrutta cappella della antica basilica di San Pietro in Vaticano. La chiesa di Santa Maria in Cosmedin è officiata in rito greco-melchita, una variante del rito ortodosso che segue la liturgia di San Giovanni Crisostomo piuttosto diffusa nel Vicino Oriente.
Bocca della verità. È soprannominata così la pietra circolare collocata nel portico della chiesa. Lievemente lesionata e dalla superficie molto consunta, misura metri 1,75 di diametro per metri 5,80 di circonferenza e raffigura la testa di un fauno con la bocca spalancata. Dovrebbe essere stato originariamente un chiusino di scolo delle acque piovane nella cloaca maxima che corre proprio sotto il foro boario, utilizzato anticamente, secondo la leggenda, per giudicare quanto fosse veritiera una persona. Si credeva che chi giurava il falso tenendo la mano nella bocca non sarebbe riuscito a tirarla fuori se non mozzata, ma l’incantesimo venne meno dopo il furbo comportamento di una donna di fronte alla prova della verità. Infatti, la moglie di un patrizio romano, accusata di adulterio, fu sottoposta a questa prova da un tribunale su richiesta del marito. Il giorno stabilito, dalla folla di curiosi che si era radunata davanti alla bocca della verità balzo fuori uno sconosciuto vestito di stracci e con i capelli arruffati, in realtà l’amante della donna, che urlando e strepitando la abbracciò e la baciò, correndo poi via. La folla avrebbe voluto linciare quell’individuo, ma la donna intercedette per lui, dicendo che evidentemente era un semplice pazzo. E lei risoluta infilò la mano nella bocca del fauno dicendo: “giuro che nessun uomo mi hai mai toccata all’infuori di mio marito e di quel pazzo poco fa”. Ovviamente i due erano d’accordo, ma la mano rimase intatta, con piena soddisfazione del marito. Invece la bocca della verità restò sbugiardata, offesa da tanta audacia della donna, incrociò le braccia e da allora non svolge più la sua funzione giudicatrice rimanendo un innocuo pietrone protagonista degli scatti dei milioni di turisti che fanno la fila per farsi fotografare con la mano nella bocca.