I templi arcaici di Fortuna e Mater Matuta nell'area sacra di Sant'Omobono
C’è un luogo ai piedi del Campidoglio, dove storia, archeologia, miti e culti si fondono perfettamente e ci permettono di ritrovare anche visivamente tra le pendici di tufo del colle e il lento scorrere del Tevere il senso della storia: questo luogo è il santuario di due divinità antichissime, Fortuna e Mater Matuta.
La costruzione dei più antico tempio di Fortuna, divinità legata al mondo agricolo e femminile, unitamente a quello di Mater Matuta, divinità indigena anch’essa collegata ai riti delle nascite, sul limite settentrionale del Foro Boario all’interno del perimetro della più antica cerchia di mura è, dagli autori antichi (Dionigi di Alicarnasso, Livio, Ovidio, Plutarco), collegata alla figura del re Servio Tullio. All’interno del tempio di Fortuna doveva essere conservata una statua di Servio Tullio in legno, salvatasi miracolosamente da un incendio e identificata con lo stesso simulacro di culto della Fortuna. Si tratta di due templi gemelli costruiti su un unico basamento con lo stesso orientamento e dedicati nello stesso giorno (11 giugno), collegati alla fondazione di altri importanti santuari nella stessa zona, quali il Fanum Carmentae, i templi di Portunus e di Ercole e a sistemazioni urbanistiche ed edilizie di grande importanza per Roma, quali il portus tiberinus, le mura urbane lungo il fiume con le porte Carmentalis e Flumentana, la bonifica della palude con la creazione della Cloaca Maxima.
Il santuario più antico, nel suo complesso, partecipa di tutte le caratteristiche delle aree di culto esistenti nel Lazio arcaico: in posizione di fondovalle e sul limite di aree urbane, su antichissime vie di transumanza e presso zone di commercio in aree portuali, dove la presenza dell’acqua, enfatizzata dall’affaccio diretto del tempio sulla palude del Velabro e dalla presenza nelle fasi repubblicane di numerose cisterne all’interno e all’esterno dell’area, appare elemento di particolare importanza e significato, collegato ai rituali del culto. Per quanto riguarda in particolare il culto di Mater Matuta, sul limitare dell’area portuale, questo è, secondo l’ipotesi più accreditata, da mettere in relazione con il mito dell’arrivo avventuroso nel Lazio di Leucothea-Mater Matuta con il piccolo Palemone-Portunus; la dea conferma così il suo carattere insieme di nutrice (kourotrophos) e di protettrice della navigazione. Nel Foro Boario, Leucothea, aiutata da Ercole, sarebbe stata accolta dalla ninfa Carmenta, che abitava alle pendici del Campidoglio e che offrì ospitalità a lei e a suo figlio Palemone.
La presenza di un doppio edificio templare (Fortuna e Mater Matuta) per la fase arcaica (VI secolo a.C.), concordemente attestata dalle fonti, non trova però allo stato attuale completo riscontro nei rinvenimenti archeologici: infatti, è stato per il momento trovato solo il tempio orientale, generalmente attribuito nella fase repubblicana e imperiale a Mater Matuta.