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La decisione di rinchiudere gli Ebrei di Roma nel ghetto ebbe come conseguenza lo svuotamento di decine di piccole comunità che si trovavano in un’area di qualche centinaio ma più spesso di qualche decina di chilometri di distanza da Roma. Da secoli gli Ebrei si erano insediati in una grande quantità di centri di media e piccola grandezza in tutto lo Stato della Chiesa, in particolare nel territorio laziale: da Viterbo a Rieti, da Tarquinia ad Orte, da Anagni a Terracina, e poi ad Alatri, Ferentino, Priverno, Segni, Velletri, Frascati, Ariccia, Tivoli, solo per citarne una piccola parte. Ora, essendo stabilito il divieto di vivere in mezzo alla popolazione cristiana, era inevitabile che i centri privi di un apposito luogo di reclusione venissero abbandonati. Un provvedimento esplicito in questo senso arrivò nel 1569, sotto Pio V, con la bolla Hebreorum gens, che intimava agli ebrei di lasciare tutte le comunità dello Stato pontificio eccettuate Roma e Ancona. A parte gli ebrei già residenti ad Ancona dunque, tutti gli altri si trovarono a dover scegliere fra tre possibilità: emigrare (come molti fecero, specialmente verso il Levante), convertirsi, oppure lasciarsi rinchiudere in uno dei due ghetti esistenti nello Stato pontificio. È impossibile sapere quanti scelsero l’una o l’altra di queste alternative, ma non c’è dubbio che una parte non trascurabile di coloro che si trovarono a vivere nel “claustro israelitico” di Roma proveniva da quei grandi e piccoli centri.

Cognomi come Alatri, Dell’Ariccia, Di Cave, Di Cori, Di Nepi, Di Porto, Di Segni, Fiano, Piperno (da Priverno), Sonnino, Sorani, Tagliacozzo, Terracina, per citare solo alcuni che riprendono le località laziali, hanno chiaramente una relazione con la migrazione forzata verificatasi al momento dell’istituzione del ghetto.  Ed è da notare che la loro maggioranza si trova solo ed esclusivamente fra gli Ebrei romani, non fra quelli di altre città d’Italia. La ragione è da ricercarsi probabilmente nella vicinanza temporale di due eventi fondamentali della storia della comunità romana: il riordino della sua organizzazione con i capitoli di Daniel da Pisa del 1524 e l’istituzione del ghetto nel 1555. Dal momento che centinaia di famiglie si riversarono a Roma in quel periodo, proprio quando l’uso del cognome si andava affermando come elemento fondamentale per l’identificazione individuale, fu naturale per molti di loro accompagnare il nome ricevuto alla nascita con la località di provenienza. Se questo vale senz’altro come criterio generale, bisogna tuttavia introdurre un distinguo importante. È perfettamente ragionevole che gli antenati di coloro che portano il cognome Sonnino provengono da Sonnino, quelli che si chiamano Terracina da Terracina, i Tagliacozzo da Tagliacozzo e così via, ma da quanto tempo erano in quei luoghi quando si trasferirono a Roma? Che significato dobbiamo dare al verbo “provenire”? Qui le cose si fanno un po’ più complicate, perché diversi elementi fanno pensare che nel rapporto fra cognomi e itinerari geografici le carte si siano un po’ mescolate in quel fatale ‘500 che tanta influenza esercitò sulla vita dei secoli successivi.

(tratto da: S.Caviglia, Alla scoperta della Roma Ebraica, Ed. Intra Moenia 2013, pp. 50-52).

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