I più antichi culti dell'area sacra di Sant'Omobono alle pendici del Campidoglio
Gli scavi archeologici nell’area sacra di Sant’Omobono hanno avuto inizio nel 1937, in occasione di sondaggi per la costruzione di uffici comunali, individuando i resti arcaici delle prime fasi del santuario. La prima testimonianza archeologica fornita dalla sequenza stratigrafica è attribuita ad un culto all’aperto con tre livelli di frequentazione, privo di edificio templare, provvisto solo di un impianto a capanna e di un’ara, databile alla fine del VII secolo a.C. Questa fase potrebbe essere riservata esclusivamente al culto di una divinità indigena, probabilmente Mater Matuta. Infatti i reperti ossei e vegetali, provenienti dagli scavi presso l’area sacrificale, completano il quadro religioso del culto della dea, giacché il loro studio ha potuto accertare che ovini e caprini erano gli animali più frequentemente offerti, sia adulti che allo stato fetale, con uccisione di esemplari gravidi, come pure di giovanissimi (fino a quattro mesi), sacrificati quindi nel periodo dell’anno che coincideva con la data delle feste Matralia.
Il sacrificio, documentato dai resti di ossa combuste, fa pensare ad un rito analogo a quello celebrato nelle antichissime feste romane delle Fordicidia, allorché venivano sacrificati in aprile a Tellus le vacche gravide, il feto estratto dall’utero veniva bruciato e le ceneri conservate per essere sparse nella successiva cerimonia delle Paliliae.
La costruzione del primo tempio con struttura in elevato è da porre verso il 580 a.C. (prima fase del tempio arcaico) e viene attribuita al regno di Servio Tullio (date tradizionali 578-534 a.C.). Si tratta di un edificio a pianta quadrata di metri 10,30 di lato, con podio alto metri 1,70 a parete verticale, e toro molto pronunciato a blocchi di tufo del Campidoglio. L’elevato, di tipo etrusco-italico, era alto metri 7,50, le pareti della cella erano alte metri 4,70, ed erano probabilmente in mattoni crudi. Le strutture lignee di copertura erano rivestite con terrecotte architettoniche e rilievi (placche con pantere) frontonali: la gradinata di accesso in asse con il tempio sporgeva con sette gradini in tufo e con l’ara antistante per i sacrifici. Il tempio viene così ricostruito con pronao a due colonne e cella unica separata da alae.
Probabilmente a seguito di un incendio, nell’ultimo quarto del VI secolo il tempio viene ricostruito a pianta rettangolare; il podio originario viene rivestito da un contropodio spesso metri 0,80, sempre in tufo, con ampio echino di base, individuato sulle due parti laterali del tempio, ma assente nella pars postica; quattro i gradini di accesso che sembrano inglobare il basamento dell’ara. A questa seconda fase, attribuita a Tarquinio il Superbo, appartiene la maggior parte delle terrecotte architettoniche rinvenute nello scavo: il gruppo acroteriale fittile è stato identificato con Eracle presentato all’Olimpo da una divinità femminile armata, Atena oppure Astarte.
Il gruppo con Eracle ed Atena e l’ipotesi dell’esistenza di un altro gruppo acroteriale coevo raffigurante Eos e Kefalos riassumerebbero tutta la mitologia legata ai culti caratteristici dei porti lungo la costa tirrenica, come a Pyrgi e Graviscae in ambiente etrusco, dove Mater Matuta viene identificata con l’Aurora, cioè la Uni etrusca, e Portunus è Kefalos cioè Palemone, mentre Eracle è il Maelkart fenicio-punico.