Il tempio del Divo Giulio nel foro romano
Cesare fu ucciso alle Idi di Marzo del 44 a.C. nella curia di Pompeo, presso l’attuale largo di Torre Argentina, ma i solenni funerali si conclusero, come ben sappiamo dal racconto di Svetonio, nel foro. La pira di legno con il corpo fu innalzata davanti ai Rostra, il palco da cui Antonio pronunciò il discorso funebre, poi reso immortale da Shakespeare. Sul posto del rogo in un primo tempo fu eretta una colonna dedicata al “padre della patria” e in seguito un tempio, dedicato nel 29 a.C. da Augusto a Cesare ormai divinizzato. Diversamente dagli altri edifici di culto, la fronte del podio si curvava ad emiciclo per far posto ad un altare circolare, posto probabilmente proprio nel punto in cui era stato eretto il rogo. Il tempio, un esastilo corinzio, aveva una pianta quasi quadrata, con la cella sviluppata in larghezza, chiaramente condizionata dallo spazio risultante tra gli edifici preesistenti. La pianta è ormai quasi incomprensibile perché l’edificio è stato uno dei più colpiti dalla spoliazione dei materiali in età rinascimentale. All’interno, la statua di culto raffigurava Cesare con il capo coronato da una stella.
“Il catafalco fu portato a spalla, davanti ai rostri nel foro, da magistrati in carica e da cittadini che avevano esercitato magistrature. Mentre alcuni chiedevano che venisse cremato nella cella di Giove Capitolino, e altri nella curia di Pompeo, due uomini con la spada al fianco e recanti giavellotti, afferrati dei ceri accesi, diedero fuoco al catafalco. Immediatamente la folla circostante alimentò le fiamme gettandovi dentro fascine, i banchi e gli sgabelli delle tribune, e gli oggetti portati in dono. I musicisti e gli attori, inoltre, strappatesi di dosso le vesti che avevano preso per l’occasione dai corredi dei trionfi, le gettarono nelle fiamme. I veterani delle legioni vi buttarono le armi che portavano per la cerimonia, e le matrone persino i gioielli e le bulle e le preteste dei loro figli. In seguito il popolo alzò nel foro una colonna di marmo numidico alta quasi 20 piedi con l’iscrizione “al padre della patria”. In quel luogo per molto tempo continuò ad offrire sacrifici, a fare voti e a dirimere controversie e giurando nel nome di Cesare” (Svetonio, Vita del Divo Giulio, 84-85).