Il Tempio di Vesta nella poesia di Ovidio
Vesta era la divinità romana del focolare domestico. L’antichità del suo culto è indiziata da vari elementi che contraddistinguono questo edificio: la forma circolare, che sembra una sopravvivenza della capanna, il fatto che all’interno non era custodita uno statua di culto come negli altri templi, ma solo l’altare per le fiamme, ed infine il fuoco. Tutto ci riporta ad un’età protostorica, con una religione naturalistica, anteriore alla antropomorfizzazione delle divinità.
Quello che ardeva nel tempio era il fuoco sacro e perenne della città, centro vivente e simbolo di Roma, che non doveva mai spegnersi; se ciò accadeva, era necessario un complicato rituale per accendere di nuovo il fuoco. Le ceneri erano raccolte per tutto l’anno in una fossa sotto il tempio, e solo in occasione della festa in onore di Vesta, dal 7 al 15 giugno, il fuoco veniva spento, il tempio pulito e le ceneri portate via con una solenne processione e gettate nel Tevere. Nei giorni della sua festa, il tempio era aperto e reso accessibile, ma solo alle donne. Per il resto dell’anno vi entravano soltanto le Vestali, che erano preposte alla cura del fuoco sacro e a tutte le pratiche del culto. Era uno dei pochissimi templi di Roma che non sorgeva su uno spazio ritualmente inaugurato, quindi non era anche un templum. Secondo la tradizione in un recesso del tempio erano custoditi il Palladio, il simulacro di Minerva che Enea aveva portato da Troia, e gli altri oggetti sacri simboli della grandezza della città. Sappiamo dalle fonti che il tempio fu distrutto molte volte, anche a causa del fuoco che vi ardeva; l’edificio oggi visibile è dunque l’ultima ricostruzione, effettuata in età Severiana dopo l’incendio del 191 d.C.
Ovidio, Fasti, VI, 256-268; 283-298: “Si tramanda che Roma aveva celebrato quaranta Palilie, quando la dea che veglia sul fuoco fu accolta nel suo tempio, opera del placido re (Numa, n.d.r.); la terra sabina non produsse alcuna indole più di lui timorata della divinità. Quel tempio che ora vedi di bronzo, allora l’avresti veduto coperto di paglia, con le pareti conteste di flessibili vimini. Quel piccolo luogo, che ora sostiene l’atrio di Vesta, allora era la grande reggia dell’intonso Numa. Tuttavia la forma attuale del tempio si dice che sia uguale all’antica, e occorre spiegare la ragione di essa. Vesta è come la terra: al di sotto di entrambe vi è il fuoco perenne: la terra e il fuoco simboleggiano infatti la propria dimora. Chiedi perché sia venerata la dea da sacerdotesse vergini? Troverò ragioni appropriate anche per questo argomento. Si ricorda di Giunone e Cerere sono nate da Ope e dal seme di Saturno; Vesta fu la terza figlia. Si sa che le prime due si sposarono, ed entrambe generarono figli; delle tre rimase una sola, insofferente di un marito. Perché meravigliarsi se una vergine si compiace di sacerdotesse vergini, e ammette ai suoi riti soltanto mani caste? E tu per Vesta non intendere altro che la viva fiamma; vedi che dalla fiamma non è mai nato alcun corpo. Dunque a buon diritto è vergine, in quanto non rende né accoglie seme, e si compiace di seguaci di intatta verginità. Stolto, ritenni a lungo che vi fossero immagini di Vesta, poiché ho appreso che sotto la volta della cupola non ve ne è alcuna. In quel tempio si cela l’inestinguibile fuoco: né Vesta né il fuoco possono avere alcuna effigie”.
BIBLIOGRAFIA: ROMA ARCHEOLOGICA, ITINERARIO N. 20, ELIO DE ROSA EDITORE, P. 48.