Il tempio di Antonino Pio e Faustina e il tempio di Venere e Roma
IL TEMPIO DI ANTONINO PIO E FAUSTINA
E’ uno dei pochi templi del foro romano discretamente conservati, grazie alla sua trasformazione nella chiesa di San Lorenzo in Miranda tra VII e VIII secolo. La costruzione dell’edificio fu decretata dal Senato nel 141 d.C. alla morte e divinizzazione di Faustina, moglie di Antonino Pio. Venti anni dopo, quando anche l’imperatore morì e fu divinizzato, alla dedica originaria “divae Faustinae” incisa nella parte mediana dell’architrave si aggiunse “divo Antonino et” sulla fascia superiore, dopo avere scalpellato il fregio originario, per cui il tempio risultò intitolato ad entrambi. Era un prostilo esastilo corinzio; l’alto podio aveva il nucleo in cementizio foderato da blocchi di peperino, così come erano di peperino le pareti della cella, ma tutto era rivestito di materiali pregiati: di marmo il podio e, probabilmente, la parte inferiore della cella, di stucco il resto delle pareti. Della originaria ricchezza dell’edificio sono testimonianza i capitelli e la trabeazione in marmo bianco, in particolare l’elegante fregio decorato con grifi, e le imponenti colonne lisce in cipollino. L’alta scalinata frontale saliva tra due avancorpi sormontati da una statua ciascuno; al centro rimane (completamente di restauro) l’ara rettangolare, originariamente rivestita di marmo. Nel pronao si conservano vari frammenti delle due statue di culto, tra cui la parte inferiore di quella raffigurante Faustina, seduta.
IL TEMPIO DI VENERE E ROMA
La pratica di un tempio dedicato a Roma, concepita come divinità, era nuova per la città, così come la combinazione con Venere, qui venerata come dea della fertilità e della prosperità. Votato da Adriano nel 121 d.C., fu portato a termine dopo la sua morte da Antonino Pio. Per la sua realizzazione fu necessario spostare, con un carro trainato da 24 elefanti, la colossale statua bronzea di Nerone che, sopravvissuta alla distruzione della domus aurea, si elevava ancora in quel sito. Esteso per un’area di 1,5 ha, era il tempio più grande di Roma insieme a quello di Serapide sul Quirinale, che rientrava però tra i culti orientali. Elevato su un podio di circa 48 x 105 m, era un diptero con 10 colonne sulla fronte e 22 sui lati, per un totale di 124 colonne corinzie in marmo bianco; la peristasi circondava due celle giustapposte, precedute ciascuna da un pronao esastilo. Il podio, a sua volta, sorgeva su una grandiosa piattaforma di 100 x 45 m, sui cui fianchi correvano porticati con colonne di granito, mentre le scalinate sui lati corti scendevano verso il foro e verso l’anfiteatro. Secondo le fonti sarebbe stato progettato dall’imperatore stesso: esse raccontano che il progetto fu motivo di lite tra Adriano e Apollodoro di Damasco, che sarebbe stato poi condannato a morte per le sue aspre critiche alle idee architettoniche dell’imperatore. Al di là degli aneddoti, l’edificio rispecchiava sicuramente gli interessi di Adriano: non è un caso che si tratti dell’unico tempio di tipo greco costruito in piena età imperiale, voluto proprio dell’imperatore che gli autori latini definivano “graeculus” per il suo amore e la sua ammirazione per la Grecia. Le strutture ora visibili appartengono però alla ricostruzione fatta sotto Massenzio: mentre le celle del II secolo avevano muri rettilinei e copertura a capriate, quelle tardo-imperiali hanno absidi tangenti contrapposte e volte a botte.