I culti di Cibele e Dioniso a Roma
Il primo culto orientale introdotto ufficialmente a Roma fu quello di Cibele, una divinità dell’Asia Minore, adorata soprattutto in Frigia e Lidia, che impersonava la madre terra e la natura. Regnava sul monte Ida, presso Troia, e da qui il nome ufficiale latino di Mater Deum Magna Idaea. I motivi della sua “evocatio” a Roma non furono di ordine spirituale, ma politici e militari: erano gli anni critici della seconda guerra punica e la divinità fu introdotta su indicazione dei sacerdoti in base alla lettura dei Libri Sibillini, consultati nel 206 a.C. in seguito a paurosi prodigi. Il racconto di Livio evidenzia che Cibele, ansiosamente voluta per la salvezza della città, fu accolta con grandi onori pubblici; il suo culto, pur rimanendo sempre straniero, risultò ufficialmente inserito nella religione civica romana, persino con l’istituzione di feste annuali, i Ludi Megalenses (dal nome della dea, in greco, Megàle = grande).
Il tempio, dedicato solo nel 191 a.C., era del tutto simile a quelli tradizionali e fu costruito non solo dentro il pomerium (i culti delle divinità straniere, di norma, dovevano rimanere fuori dal pomerium, ma forse la Troade, terra cui i Romani riportavano la propria origine, non fu considerata propriamente un paese straniero), ma addirittura sul Palatino, il colle connesso alla fondazione di Roma. Per inserire Cibele nell’ambito della propria religione, però, il Senato - con i decemviri - dovette procedere ad un’opera di profonda depurazione. Nei paesi di origine il culto, cui era associato Attis, era celebrato da sacerdoti eunuchi e prevedeva cerimonie con danze e musiche inebrianti, durante le quali i seguaci si eviravano ad imitazione di Attis: un culto che richiedeva il sacrificio totale per unirsi alla divinità e rigenerarsi. Tutti questi elementi trasgressivi, che per la morale romana erano inaccettabili, soprattutto l’evirazione considerata abominevole, furono nascosti: il culto poteva essere celebrato solo all’interno del tempio e i sacerdoti furono sempre Frigi, anzi era assolutamente vietato ai cittadini romani far parte del personale addetto al culto. Solo due giorni all’anno, in occasione dei Ludi, i sacerdoti Frigi sfilavano in processione, con i loro costumi esotici, tra musica e grida, portando a spalle il simulacro della dea.
Ben diversa fu la sorte del culto di Dioniso/Bacco, una delle divinità più note della religione greca. Era una figura estremamente complessa e multiforme: dio donatore del vino e dell’ebrezza, dio dell’estasi e del delirio mistico, dio “furente” che trascina gli uomini alla pazzia e “divoratore di carne cruda”, dio nato due volte e quindi dio della morte e della rinascita, dio di un mondo tutto femminile. Le sue sacerdotesse, chiamate Menadi o Baccanti, erano sempre rappresentate ebbre e deliranti, con gli occhi stravolti, i capelli sciolti, nell’urlare grida di gioia e nel danzare balli selvaggi al suono di cembali e tamburelli. Sembra che il culto prevedesse il ritiro su un monte per celebrare l’orgia sacra, l’uccisione e la lacerazione della vittima sacrificale ed infine l’omofagia, il consumo delle carni crude della vittima. Il sacrificio portava dunque l’uomo a fondersi con la divinità in un’estasi mistica. Limitato anche in Grecia per il suo contrasto con la religione olimpica, penetrò a Roma dall’Italia meridionale dove, attraverso le colonie elleniche, era diffuso già da tempo. Nel 186 a.C. i seguaci del dio erano diventati sempre più numerosi a Roma ed aumentavano anche le voci delle terribili cerimonie segrete tenute di notte nel Lucus Stimulae, un bosco sacro situato probabilmente alle pendici dell’Aventino. In seguito ad una denuncia, nello scandalo si trovarono coinvolte anche matrone romane e si arrivò ad un’inchiesta ufficiale da parte del Senato. L’intervento nasceva da preoccupazioni ben precise: le riunioni di questa massa di fedeli, quasi un secondo popolo come lo definisce Livio, in cui si mischiavano persone di tutti i ceti, dovevano apparire politicamente e socialmente pericolose ad un organo che per molto tempo si oppose anche alla costruzione di edifici, come i teatri, che potevano favorire assembramenti non controllati e non autorizzati. Per questo il decreto del Senato contro il culto di Dioniso (Senatus Consultum de Bacchanalibus, CIL XII 581) fu particolarmente incisivo, nel vietare le riunioni e le celebrazioni di gruppo se non espressamente autorizzate.
(da: ROMA ARCHEOLOGICA, itinerario n. 20, pp. 16-17, Elio de Rosa Editore)